A Trento, i ragazzi dei collettivi di sinistra hanno impedito ai rappresentanti di Azione Studentesca di accedere alla facoltà di Sociologia per allestire un banchetto e distribuire materiale informativo sulla loro associazione. Questo episodio solleva interrogativi rilevanti, soprattutto alla luce dei principi sanciti dalla Costituzione italiana, che garantisce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (articolo 21) e di associarsi pacificamente per finalità culturali, politiche e sociali (articolo 18).
L'azione dei collettivi, che di fatto ha impedito un confronto democratico, appare in contraddizione con i valori che loro professano. La paura del fascismo, spesso evocata come giustificazione, sembra paradossalmente aver portato a una dinamica che richiama proprio le pratiche censorie tipiche dei regimi autoritari. Impedire a un gruppo di esprimere le proprie idee, qualunque esse siano, non combatte il fascismo ma rischia di riprodurne i metodi, basati sull’intolleranza e sulla repressione del dissenso. Va ricordato che, in una democrazia, le idee si contrastano con il confronto aperto e con il dibattito, non con la censura. L’università, in particolare, dovrebbe essere un luogo privilegiato per il dialogo e per l’elaborazione critica, non uno spazio chiuso dove solo alcune posizioni ideologiche hanno diritto di esistere. Criticare l’operato dei collettivi non significa ignorare il dovere di vigilare contro i rigurgiti di ideologie totalitarie, ma tali battaglie devono essere condotte nel rispetto delle regole democratiche. L’azione di censura, invece, rischia di alimentare tensioni e di rafforzare la narrazione di vittimismo di quei gruppi che si vorrebbero contrastare. Questo episodio potrebbe essere l’occasione per riflettere sul rapporto tra libertà e responsabilità politica: come garantire che luoghi come le università restino spazi di pluralismo e confronto? E come evitare che chi si oppone al fascismo finisca per replicarne i metodi, tradendo i valori democratici che intende difendere?
L'azione dei collettivi, che di fatto ha impedito un confronto democratico, appare in contraddizione con i valori che loro professano. La paura del fascismo, spesso evocata come giustificazione, sembra paradossalmente aver portato a una dinamica che richiama proprio le pratiche censorie tipiche dei regimi autoritari. Impedire a un gruppo di esprimere le proprie idee, qualunque esse siano, non combatte il fascismo ma rischia di riprodurne i metodi, basati sull’intolleranza e sulla repressione del dissenso. Va ricordato che, in una democrazia, le idee si contrastano con il confronto aperto e con il dibattito, non con la censura. L’università, in particolare, dovrebbe essere un luogo privilegiato per il dialogo e per l’elaborazione critica, non uno spazio chiuso dove solo alcune posizioni ideologiche hanno diritto di esistere. Criticare l’operato dei collettivi non significa ignorare il dovere di vigilare contro i rigurgiti di ideologie totalitarie, ma tali battaglie devono essere condotte nel rispetto delle regole democratiche. L’azione di censura, invece, rischia di alimentare tensioni e di rafforzare la narrazione di vittimismo di quei gruppi che si vorrebbero contrastare. Questo episodio potrebbe essere l’occasione per riflettere sul rapporto tra libertà e responsabilità politica: come garantire che luoghi come le università restino spazi di pluralismo e confronto? E come evitare che chi si oppone al fascismo finisca per replicarne i metodi, tradendo i valori democratici che intende difendere?